top of page
  • Writer's pictureAndrea

Il calcio negli stadi vuoti

Updated: Nov 15, 2020

Guardare una partita di calcio, di questi tempi, mi provoca inevitabilmente un senso di desolazione che neanche un’eventuale vittoria della mia squadra riesce a cancellare. A mancare è la consueta e amata colonna sonora, quella del tifo. Non per tutti si tratta di qualcosa di fondamentale, ma lo è sicuramente per me. In tutti questi anni in cui una grande passione mi ha legato a questo sport, lo stadio è sempre stato per me centrale, almeno al pari del gioco che ospita.


Quando nel 2008 andai a vivere a Barcellona, la gente locale si stupiva nel sentirmi raccontare come io tifassi appassionatamente per la sconosciuta Atalanta, pur non avendo nessun legame col territorio bergamasco. Non capivano perché non avessi scelto di tifare una delle solite grandi squadre, al ché rispondevo loro che tifare una piccola dava emozioni uniche, come quella di sconfiggere un colosso in uno stadio che ruggisce, sovvertendo, così, l’ordine costituito: qualcosa che una grande non avrebbe mai potuto fare. Rimanevano perplessi. Del resto, abituati allo scintillante gioco del loro Barça di Guardiola, si chiedevano come potessi divertirmi col calcio mediocre di una squadra che arrancava per non retrocedere. Allora spiegavo loro che io andavo in curva per tifare, per cantare e saltare e diventare un tutt’uno con gli altri nerazzurri, ma per loro lo stadio era come un teatro, lo spettacolo era solo in campo. Non ci potevamo proprio capire. Io ero stato una volta al Camp Nou e mi ero annoiato enormemente nel silenzio spocchioso di uno stadio già sicuro di fare un sol boccone del piccolo Recreativo Huelva (in effetti, dopo un minuto già vincevano 1-0).


È strano come ora il mio mondo sportivo sia finito sottosopra. L’Atalanta è diventata improvvisamente una squadra fortissima, tutti la conoscono anche all’estero, gioca un calcio entusiasmante, probabilmente il più bello d’Italia, ma fa tutto questo in stadi vuoti a causa di una pandemia inimmaginabile a priori. Sicuramente ora ho imparato cosa significa divertirsi col puro calcio, con la bellezza del gioco, con la forza di essere grandi e, sì, tocca ammetterlo, anche col gusto di dominare. Lo stesso Pep Guardiola, maestro d’orchestra di quel Barça stellare, di recente si è complimentato con la mia piccola Atalanta per il suo bel gioco, riempiendomi d’orgoglio. Eppure adesso, guardando una partita nel silenzio dello stadio, continuo a sentire quel grande senso di vuoto. Non ho ancora avuto occasione di chiedere agli amici catalani se questa desolazione ora la sentono anche loro, se anche loro hanno cambiato un po’ idea e non considerano più lo stadio come un teatro. Beh, penso proprio di sì. Come si fa a non sentire la mancanza del tifo? Non credo che il calcio sia diventato lo sport più popolare del mondo solo perché è un gioco particolarmente divertente, credo che il tifo abbia fatto la sua parte.


Le gradinate dello stadio sono un posto speciale. Quando in curva vesti i colori della tua squadra, anche se in realtà sei in mezzo a degli sconosciuti, ti sembra di essere tra fratelli. Ti senti forte e protetto, come parte di un tutto ben più grande di te. È quasi come se sacrificassi la tua identità personale per elevarla a quella collettiva. Ad essa dedichi la tua voce, che si unisce a quella di tutti gli altri e diventa potentissima. Tuona e rimbomba, atterrisce i giocatori avversari e carica i tuoi, e li spinge oltre l’ostacolo. Non è affatto un’idea romantica, ma bensì un dato statistico quello che mostra come da sempre, prima dell’emergenza, le squadre che giocavano in casa vincessero molto di più di quelle in trasferta; con gli stadi chiusi, invece, il dato si è livellato notevolmente. Forse il fascino del tifo è racchiuso proprio in questa sua capacità di far risuonare le corde emozionali dell’essere umano come animale sociale, qualcosa di raro e forse anche rifuggito da una società sempre più individualistica, fatta di persone isolate o al massimo piccoli gruppi.


E alla fine, quindi, mi chiedo: “Se potessi, tornerei indietro? Rivorrei gli stadi pieni e un’Atalanta che lotta per la salvezza?” Stadi pieni vorrebbe dire fine della pandemia, certo, quindi la scelta sarebbe scontata, ma prendiamo in considerazione solo il lato sportivo: baratterei il bel gioco e le vittorie della mia squadra per tornare a vivere le emozioni del tifo? Non è facile rispondere. A forza di provare cibo prelibato, il palato si fa fino, è inevitabile; certo che potrei rimpiangere il gioco spumeggiante e le vittorie di questi anni. Però, sì, a fatica, molta fatica, ma dico che sceglierei gli stadi pieni. E se l’Atalanta tornasse ad essere una piccola che fa da ascensore tra serie A e B, poco male: in fondo gli stadi più caldi son sempre quelli delle piccole. Meno gente si, ma spinta da un desiderio più ardente. Quando una piccola segna un goal in casa contro una grande, il boato del pubblico è fortissimo, racchiude in sé tutta quella voglia di realizzare l’impossibile insieme, la voglia di sconfiggere il gigante e distruggere la roccaforte. E allora vorrà dire che tornerò a fare come in passato, quando correvo a guardarmi i goal della domenica se sapevo che negli stadi infuocati del Genoa, del Vicenza o del Toro era caduta una grande.






90 views0 comments

Comentários


bottom of page